Arrivo al palapartenope scettico. Anzi, di più. È la data napoletana del Solo Tour 2.0, il tour che supporta, appunto, l’album «Solo 2.0» di Marco Mengoni, un upgrade del personaggio da talent (grazie al cielo ce lo stiamo dimenticando, ma Marco ha vinto X Factor 3), il primo album full lenght, un disco ben scritto, cantato prodotto e suonato (anche se mixato male, ma questa non è la recensione dell’album, quindi evito). Qualche settimana prima del concerto, mi arriva una mail da una mia amica: «Mm, vedi quello che devi fare per andare a vedere Mengoni al palapartenope.». Così, preso dalla curiosità e colta l’occasione dell’accredito stampa, arrivo a questo concerto con tutto il fare rompicoglioni che soltanto io quando scrivo le recensioni per iPodmania so avere. La gente c’è, l’impianto scenico e sonoro è di altissimo livello, una band fenomenale con un suono estremamente rock e con l’aggiunta di un elemento addetto alla sezione elettronica e alla programmazione di strumenti e synth aggiuntivi all’assetto elettrico del palco.
L’entrata è ad effetto, con Searching. Tutto sembra calibrato alla perfezione, uno show più teatrale rispetto al «Re Matto Live», in cui si narra la storia di Solo, il nuovo alter-ego del cantante, con una linea che lega diversi punti narrativi disseminati durante il live-set, con l’apporto di coreografie complesse e molto interessanti del corpo di ballo che spesso coinvolgono anche il pubblico. Le canzoni subiscono tutte modifiche sostanziali, è necessario un aggiornamento, che è l’idea portante della scaletta, soprattutto per gli arrangiamenti dei (non esaltanti) brani dei primi due (non esaltanti) album. Idea che giunge alla massima concretizzazione in In un giorno qualunque, addirittura con il testo lievemente modificato, emozionante fino a fare male per quanto è struggente. La voce di Marco è impeccabile, perfetta, non si risparmia e si presta senza fatica a diversi generi, con una versatilità rara e una presenza scenica ancora più istrionica di quanto non avesse già dimostrato. Per Credimi Ancora, la linea narrativa del concerto giunge ad un punto di svolta: il palazzetto si trasforma in una chiesa (fondamentali alla resa gli schermi/scatole/piani/livelli che dominano il palco) con “il funerale del Re Matto”, un momento che segna il cambiamento tra il vecchio e il nuovo Mengoni. Marco scherza, gioca con i fan, parla in Napoletano, e dedica un siparietto improvvisato su Napoli («che è ‘na terzina, quando si fa solfeggio: Na-po-li») appena prima del medley in cui ripropone alcuni brani in versione acustica, chitarra e voce, oltre che una cover inaspettata del successo dance No Stress. L’unico momento stucchevole dello spettacolo, quello in cui Mengoni si siede al piano per Tonight senza realmente suonarla, un attimo che toglie poesia a tutto (se non per le bimbeminkia che urlano «Quanto è bravoooo» non accorgendosi che avrà suonato, contate, 14/15 note), superfluo nella maniera più assoluta, che non aggiunge nulla ma toglie soltanto all’emozionalità del brano, stupendo senza alcun dubbio.
Una delle performance migliori dell’intero live è quella della geniale Come ti senti, riassunto di tutte le domande, perlopiù stupide, rivoltegli dai giornalisti, che dal vivo è eccezionale, con una inedita conclusione del verso «se tu potessi solo immaginare…». Le canzoni si trasformano, gli arrangiamenti e anche i testi maturano e addirittura Stanco (Deeper Inside) si fonde con The Rhythm Of The Night in un simpaticissimo Mash-Up. La cosa particolare è che io che sono venuto qua col piglio del critico rompipalle, non ho nulla a cui appigliarmi, il concerto rasenta la perfezione musicale, scenica e vocale, ma sono rimasto ligio al mio dovere fino a Tanto Il Resto Cambia, quando le mie ultime difese crollano e anche io mi ritrovo in lacrime, cellulare in aria per far sentire la canzone alla mia ragazza come il fan che effettivamente sono, mentre a far emozionare Marco, invece, ci pensa il pubblico, che per gran parte mostra una scritta GRAZIE, portando Mengoni a commuoversi, in maniera più che comprensibile. Si prosegue con l’intensissima titletrack Solo (Vuelta Al Ruedo) e i titoli di coda, Marco torna sul palco per festeggiarela chiusura della prima parte del tour e si dà più che può, balla, salta sui diversi piani, cazzeggia con i ballerini e regala al pubblico altre 3 cover: I Can’t Stand the rain e due brani di Moby, Natural Blues e In This World.
Un concerto fenomenale, che conferma il talento di un ragazzo spesso sottovalutato dalla critica e dagli scettici, un live che avrei preferito ascoltare in cuffia per godere di una voce invidiabile senza un’orda di ragazzine inferocite che urlava, ma è anche vero che un cantante senza fanbase è niente, quindi perdoniamo anche loro. Però ho una certezza: se qualche amante del rock&roll più estremo fosse andato senza snobismi a questo concerto, si sarebbe non solo divertito, ma si sarebbe anche tolto il cappello dinanzi alla popstar giovane più promettente, l’unica forse, che ci sia in Italia. Anche se quando il pubblico urlava «Marco Marco Marco»… che invidia estrema…
[Mm]